Trenta giorni ancora. Un mese esatto, fino al 3 marzo, per appianare i problemi politici interni al Movimento 5 Stelle e quelli tecnici di competenza degli uffici. Un mese, soprattutto, per «completare le procedure urbanistiche di competenza », secondo quanto sottolineato dall’assessore regionale Michele Civita. Per il destino del nuovo stadio della Roma, la più grande opera di un privato progettata nella capitale da molti anni a questa parte, sono iniziati da ieri i tempi supplementari. E la strada resta in salita. La conferenza dei servizi, l’organismo che dovrà dare il via libera all’Arena disegnata dall’archistar Dan Meis, è stata interrotta su richiesta del Comune di Roma. Richiesta accolta per galateo istituzionale dalla Regione che, però, per il 3 marzo chiede risposte a interrogativi finora rimasti insoluti. «Sarebbe grave non dare certezza sulle procedure», ha sottolineato ieri Civita.

La partita si gioca sulla variante al piano regolatore da approvare o meno in Aula Giulio Cesare: «Il Comune potrebbe fare un’altra scelta, poi valuteremo nel merito», prosegue l’assessore regionale all’Urbanistica. Nello specifico, per Civita, il Campidoglio in un primo momento ha spiegato che la delibera approvata all’epoca di Ignazio Marino e che determinava l’interesse pubblico dell’opera «non aveva valore urbanistico. Invece potrebbe rispensarci». Dietro questo ragionamento si nascondono le posizioni differenti all’interno del M5S: da una parte la sindaca Virginia Raggi e i suoi fedelissimi che propendono per una riduzione delle cubature tra il 10 e il 20% (comprese, dunque, almeno in parte le tre torri disegnate da Daniel Libeskind) che, in teoria, potrebbe essere assorbita con piccole modifiche dalla vecchia delibera. Dall’altra Paolo Berdini, l’assessore all’Urbanistica, convinto sostenitore che a Tor di Valle si possa costruire solo con le rigide prescrizioni del piano regolatore e, dunque, con un drastico taglio delle cubature da prevedere attraverso una nuova delibera da scrivere ex novo. «Si edificheranno 69mila metri quadrati rispetto ai 350mila pattuiti con Marino », le parole di Berdini a Repubblica quattro giorni fa.

A rappresentare plasticamente la distanza tra le due posizioni c’è la richiesta della sindaca che ieri ha sentito la Regione per avere da loro (e non dagli uffici del Campidoglio) la lettera inviata dal dipartimento urbanistico del Comune con la quale si specificava il rischio idrogeologico di una costruzione in quell’area. D’altra parte, sulla questione, l’Autorità di bacino del Tevere ritiene invece che proprio le opere da realizzare a Tor di Valle mettano in sicurezza la zona. Della questione ieri non si è discusso in conferenza dei servizi che si è data appuntamento alla riunione decisiva del 3 marzo. Per quel giorno il Comune è tenuto a prendere una posizione e mettere nero su bianco le sue intenzioni. Pena la «non procedibilità » dei lavori.

A quel punto, gli scenari possibili sono due: da una parte l’As Roma potrebbe chiedere l’intervento di un commissario del governo vista l’inadempienza e «l’inerzia» del Comune (un termine ieri ripetuto più volte in conferenza dal legale rappresentante della Eurnova, la società costruttrice). L’altra strada, invece, passa per il tribunale civile e una richiesta di risarcimento milionaria da parte della società nei confronti del Campidoglio. Il cerino resta nelle mani della giunta che, nel mezzo di questioni politiche (e giudiziarie) delicatissime che pendono sulla Raggi dovrà trovare una mediazione e accelerare su un iter che prevede i tempi tecnici di un passaggio in Aula Giulio Cesare. Il tutto prima del fischio finale previsto il 3 marzo.

(La Repubblica – M. Favale)



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