(La Repubblica – M. Pinci) Tra le istantanee della notte col Barcellona, ce ne è una che lo ritrae euforico. Alisson ha inciso un commento evocativo: “Sorride!”. Perché Kevin Strootman ha fama da duro, ma quella partita gli ha sciolto il cuore: «Non dirò che è stata la mia migliore: voglio che sia tra qualche settimana».
Eppure, il suo amico Salah dice che la Roma avrebbe voluto evitare il Liverpool.
«Se lo dice lui va bene. In semifinale giochi con squadre fortissime, Bayern e Real sono di un altro livello e il Liverpool sta facendo bene. Noi abbiamo voglia di arrivare in finale. Salah è il più pericoloso, in campo non saremo amici».
Vi siete scritti in questi giorni?
«Le ultime due volte non mi ha risposto, ha cambiato sei volte numero. Gli riscriverò dopo la semifinale. Speriamo di rivivere una serata come col Barça. Il video del terzo gol l’avrò rivisto 500 volte: lo stadio era magico».
Quando avete iniziato a credere all’impresa?
«Prima della partita ci credevamo forse il 10%, sapevamo sarebbe servita la perfezione. Dopo il primo gol ci siamo detti: “Ce la possiamo fare”. La difesa è stata spettacolare, la prendevano sempre loro. Nello spogliatoio c’era lo spirito per fare quella partita».
Nata da un modulo, il 3-4-3, imparato in due giorni.
«Ma lo avevamo fatto già lo scorso anno, tutti sapevamo cosa fare, con le indicazioni del mister e dello staff. Son stati perfetti anche i tempi: abbiamo segnato subito, un altro dopo l’intervallo e il terzo non troppo presto (ride). Ero sicuro che non ci avrebbero segnato più».
Con chi ha condiviso la gioia?
«Con i miei genitori. Non stanno più insieme, ma sono sempre venuti a vedere le partite. A 14 anni giocavo già a un livello più alto di mio fratello, lui aveva scelto di giocare con i suoi amici e loro andavano a vedere anche lui. Ci hanno sostenuto sempre. Venivano a seguirci sui campetti il sabato mattina, alle 8.30, con un freddo a meno 15: se adesso sono in semifinale di Champions è pure per loro una cosa speciale».
Sono dedicate a loro le stelle che ha tatuate sul braccio?
«Sono le date di nascita di mio fratello, di mio padre e di mia madre. Il prossimo sarà per mia figlia».
Strootman il duro che diventa papà?
«Tutti mi dicevano che sarebbe stato speciale. Non vedo l’ora. Io e Thara l’abbiamo voluto. Per tanta gente è difficile avere figli, noi abbiamo ricevuto un miracolo. Quando arrivammo, lei studiava per diventare maestra e viveva qui con me, viaggiava ogni settimana tra Roma e l’Olanda. Non era facile, ma siamo a due ore da casa, in una delle più belle città del mondo, non in Russia o in un posto disagevole. Ora ha finito e abbiamo preso un cane. E poi le famiglie vengono a trovarci».
Il suo primo ricordo legato al calcio?
«Avevo 3-4 anni, giocavo in giardino ogni giorno con mio fratello, più grande di me. A 4-5 anni andai in una squadra, non potevano farmi giocare con la categoria F-1, perché non avevo ancora 6 anni. Poi ricordo il Mondiale ‘94. Per voi è quello di Baggio, per me quello della punizione di Branco che ha fatto fuori l’Olanda».
L’infortunio al ginocchio l’ha cambiata?
«Chi non ne ha avuti può entrare in campo e tirare cento palloni in porta, se lo faccio io non gioco più per tre settimane. Quando devi fare 50-55 partite all’anno, serve professionalità».
Si sente un leader?
«È bello sentirselo dire, ma per me i leader sono De Rossi, Kolarov. Se vinciamo sono un leader, se perdiamo non lo sono più. Nel calcio è così. Perciò è una parola che non mi piace».
Cos’altro non le piace?
«Il Fantacalcio. C’è gente che mi scrive: “Kevin, mi fai un gol per il Fantacalcio?” Ma come, solo per quello devo far gol?».
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