Diego Tavano

(Il Tempo – E. Menghi) L’effetto collaterale di un grande business, l’ultima tendenza del mercato, il risultato di un lento e prevedibile processo: così gli stranieri hanno preso il posto del made in Italy. Il disastro azzurro ha aperto una discussione sul tema dei giovani italiani che faticano a trovare spazio in Serie A, e non solo, perché fin dalle selezioni per i settori giovanili vengono «premiati» i baby provenienti dall’estero: «È più facile piazzare i calciatori stranieri. Va di moda prendere il brasiliano di turno, anche se magari non vale quanto un italiano, poi i sudamericani sono più pronti a livello tecnico e gli africani hanno prestanza fisica e balzano agli occhi dei direttori sportivi, che tendono ad innamorarsene». A raccontarci il dietro le quinte del calciomercato è un esperto del settore, il procuratore Diego Tavano, che per dare l’esempio ha fatto un fioretto: «Ho portato tanti stranieri in Italia, adesso voglio tornare a lavorare soprattutto con gli italiani».

Prendere i giocatori dall’estero «può generare grossi giri di operazioni economiche, entra in gioco anche la figura dell’intermediario. Se vado alla Roma (a cui di recente ha portato Bouah, terzino della Primavera, e il centrocampista Perfection, ndc) e gli parlo di un ragazzo di un settore dilettantistico sicuramente sa già chi è: i migliori club monitorano i baby bravi che giocano in Italia, per questo davanti allo straniero si incuriosiscono di più». Eppure in Italia «di talento ce n’è: avevamo undici giocatori forti per battere la Svezia, ma sono state gestite male le risorse. Le attitudini vanno coltivate e supportate, io consiglierei di inserire nei settori giovanili istruttori che provengono dal calcio a 5 per insegnare concetti e situazioni tecniche più specifiche applicate alla tattica». Si può fare di più a partire dalla valorizzazione dei vivai: «Sarebbe stimolante un campionato per la seconda squadra di riserve, farebbe crescere i calciatori prima. Già con l’ultima riforma per la Primavera è stato fatto un passo avanti, ma non basta».



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