«La gente va allo stadio per divertirsi e per vedere un giocatore rimanere sempre nella stessa squadra. I tifosi si aspettano di non essere traditi: guardate quello che è successo ora con il passaggio di Higuain dal Napoli alla Juventus. È un disastro». A parlare, intervistato nel ritiro di Boston da gazzettaworld.com, è l’ultima bandiera del calcio italiano: Francesco Totti. All’inizio dell’ultima (forse) stagione della sua carriera, la venticinquesima con la maglia della Roma, il capitano giallorosso si concede un po’ di romanticismo, consapevole di essere l’ultimo eroe di un calcio che non esiste più. «Forse — le parole di Totti — è proprio questa la differenza tra me gli altri. Non sono in tanti gli atleti che seguono il loro cuore, scelgono di andare altrove per vincere e guadagnare di più, sono un po’ come dei nomadi». Il riferimento è a Gonzalo Higuain, ma non solo. In questa considerazione ci possono stare dentro anche il suo ex compagno Miralem Pjanic, finito pure lui in bianconero dopo il pagamento della clausola rescissoria, e molti altri colleghi. Per uno che nella sua carriera ha incrociato le scarpe con calciatori del calibro di Maldini e Del Piero, ad esempio, deve essere difficile abituarsi a questa nuova realtà. «Negli anni lo sport è cambiato molto ed è cambiato anche il calcio, ora al centro ci sono i soldi. I giocatori cambiano squadra più spesso, è più un fatto di affari che di passione. Ora è del tutto normale che quando uno straniero arriva in Italia abbia la possibilità di andare in un’altra squadra per guadagnare di più». Una scelta che avrebbe potuto fare anche lui, più volte nel corso di una lunga carriera tutta dedicata alla Roma. «Se avessi pensato solo ai soldi e all’aspetto economico avrei lasciato la Roma 10 anni fa. Avrei guadagnato di più di quanto guadagno ora in giallorosso. Per me però si tratta di passione, non di soldi. Ho sempre amato questi colori e ho sempre desiderato indossare solo questa maglia. È come se fosse un matrimonio il mio rapporto con la Roma».

Un matrimonio che ha vissuto anche momenti di crisi. «Qualche volta ho pensato di andare in America. Ci ho riflettuto, ma è sempre stata una scelta di cuore rimanere con la Roma. In Cina invece non mi ci vedo, sarebbe difficile per me, specialmente con la mia mentalità». Se potesse, insomma, il capitano giallorosso sposterebbe indietro le lancette del tempo, non solo per allungare la sua carriera («sarà il mio ultimo anno, e spero di chiuderlo alzando un trofeo») ma anche per riportare il calcio italiano ai livelli di un tempo. «La Nazionale ha fatto bene agli ultimi Europei, l’Italia ha buoni prospetti che la aiuteranno nel futuro, però bisogna cambiare mentalità e dare più attenzione e più spazio ai giovani: ce ne sono tanti di talento, ma sono oscurati dagli stranieri. È cambiato tutto, ora è più importante avere in squadra stranieri che italiani: alcuni pensano che se prendi un argentino o un brasiliano allora sarà come Maradona. E la gente è felice. Nella nostra squadra non parliamo italiano: giocatori, allenatori, preparatori, massaggiatori, tutti parlano in inglese». La soluzione? «Io tornerei indietro, tornerei nel passato, quando c’erano al massimo due o tre stranieri per ogni società».

(Corriere della Sera – G. Piacentini)



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