ULTIME NOTIZIE AS ROMA TOTTI – Si capisce perché abbiano preso lui quei dritti della Digitalbits, società leader del ricchissimo mercato delle criptovalute. Americani, sì, ma questi sono partiti affidandosi a chi della Roma e del calcio italiano ha fatto la Storia. Quando parla Totti, la città si ferma a discuterne.
E il Capitano solitamente ha ragione, e non tiene mai paura di dire quello che pensa. Dunque, se dice che «per vincere ci vogliono i grandi giocatori, e la Roma campioni non ha», dice quello che pensano tutti, da Mourinho in giù, e sarà un’ovvietà, allora, ma nessuno l’aveva detta così, dritta, senza girarci intorno. Anzi, con una precisione chirurgica che colpisce, quando sottolinea, un istante dopo, che «non voglio disprezzare la squadra, ma…», e in quel ma si riconoscono milioni di persone, e infatti al termine della giornata ilmessaggero.it registra un dato significativo, quasi il 90% delle persone che hanno risposto al sondaggio sono d’accordo con lui. Prendessero nota, i Friedkin, e – aggiunge il tifoso – mettessero mano al portafogli.
Ecco spiegato come una considerazione tutto sommato banale, se pronunciata da Totti diventa subito un appello e col passare delle ore finisce per esercitare una pressione – agli americani piace dire moral suasion – non richiesta, e poco gradita. E devono esserci rimasti un po’ così, a Trigoria, anche quando Totti si è augurato che «non passi troppo tempo prima che la Roma torni a esprimersi a certi livelli, anche in Europa», o quando, chissà quanto involontariamente, l’ha definita «la mia Roma», e dopo una pausa, ha precisato: «Per trent’anni è stata casa mia…».
No comment, dalla società. Non è una novità. Non parlano mai, padre e figlio Friedkin, è una loro policy. Per quel che si sa, loro a Totti farebbero tagliare nastri o poco più, mentre lui ha sempre reclamato un ruolo operativo. Due posizioni inconciliabili, e non sarà lo sponsor in comune ad avvicinarle, anche se, fatalmente, prima o poi arriverà un’iniziativa in comune, e «magari – contempla Totti stesso – «avrò più occasione per parlare con la Roma». Fino ad allora, si resta al saluto di sabato pomeriggio, all’Olimpico. Rapido, più dovuto che voluto, e nessuna cena post-partita (l’aria, del resto, sarebbe stata pesantuccia).
In molti pensano: In questa Roma Totti farebbe ancora la sua figura, magari per 15-20 minuti. Lui, a chi glielo ha fatto notare, sabato ha risposto così: «Anche mezz’ora». Ma scherza, il capitano. Il tempo resta quella variabile maledetta con cui ha dovuto fare i conti anche lui, e da allora in effetti sono stati più dolori che gioie. «Noi romanisti – dice – siamo abituati a soffrire, ma sono convinto che la società e il mister vogliano farci tornare a vivere grandi emozioni. Roma si merita di più». Olè, e anche questa deve aver colpito e affondato.
Perché più delle competenze digitali – «per quelle – dice con la solita autoironia – ci rivediamo tra un anno, avrò imparato qualcosa» -, può ancora il nome: Totti. Un brand glocal, si sarebbe detto una volta, cioè un fenomeno locale capace di diffondersi a livello mondiale. Per dire, forse non tutti sanno che nel mondo ci sono seimila (sì, seimila!) opere d’arte dedicate a lui – murales, quadri, illustrazioni, ecc… E che 150mila persone (sì, centocinquantamila!) hanno un tatuaggio ispirato a lui.
Tanto per capirci, sono gli abitanti di Cagliari, o Livorno. Numeri che gli americani della Digitalbits conoscono bene, non a caso hanno scelto lui come primo global ambassador del gruppo. «Non so se questo è l’inizio di una nuova carriera, di un Totti 2.0. Io mi auguro di poter fare nei prossimi anni solo cose che mi piacciono», dice. Gli fanno vedere la maglia che realizzeranno per lui, ovviamente una numero 10, e gli scappa un sorriso: «Mi tocca ricominciare a giocare». Dai, spogliati.
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