Rapido riassunto delle (ultime) puntate precedenti. Tappo, luce che oscura gli altri, il male della squadra, semplicemente un problema. Se pensate che basti chiamarvi Francesco Totti per vivere felici a Roma, sbagliereste tutto. Passato il celebratissimo compleanno, a 40 anni, quando il corpo racconta storie diverse da quelle dei venti – e nonostante tutto il gruppo paia dipendere sempre da lui («con Francesco in campo ci sentiamo più forti», copyright Strootman) – nella Capitale è più facile di quanto si pensi trovare chi pensi che la rivoluzione americana dovrebbe avere il coraggio di gettare a mare l’ultima zavorra (?) del passato per collocarlo nel pantheon degli Eletti e nel presente dei dirigenti. Intendiamoci, prese di posizione legittime, intrise di amore per i colori giallorossi o di strategie dagli orizzonti troppo lontani per tanti comuni mortali. D’altronde, se la psicoanalisi racconta che a volte per diventare grandi ci sia bisogno di «uccidere il padre» (virtualmente, mi raccomando), quale migliore occasione per criticare Totti – papà «in pectore» di tante squadre giallorosse – e sentirsi, così, piccoli Edipo gioiosamente maledetti? Altro che le banalità di chi canta ogni settimana «C’è solo un capitano» e tiene la contabilità dei gol (segnati e fatti segnare). Insomma, confessiamolo, essere «anti» dà sensazioni forti, da cercare (perché no?) sistematicamente. Quelle che lo scrittore francese Joris Karl Huysmans, ad esempio, aveva già descritto alla fine dell’Ottocento nel romanzo «Controcorrente», ma volete mettere come sia trendy parlare di Totti – in segrete stanze o in chiassosi dibattiti fa lo stesso – piuttosto che di un libro? E chi li legge i libri? Morale: hanno ragione loro, ci mancherebbe.
GRANDI SFIDE – La fortuna di Totti, insomma, è che negli ultimi 25 anni è riuscito spesso (non sempre) a staccare la spina dalle critiche, anche quelle non infondate. Per questo, dopo che l’attualità gli ha restituito un ruolo centrale nella Roma – pur partendo sempre dalla panchina, ad eccezione che con l’Astra Giurgiu – l’obiettivo è quello di tornare protagonista anche nelle grandi sfide, nelle partite che contano. Quelle in cui finora il numero dieci giallorosso è stata solo una comparsa. Ecco, se valutiamo che di «big match» la squadra di Spalletti finora ne ha giocati 4 (i due col Porto e quelli con Inter e Fiorentina), il risultato è scarno: 0 minuti nei primi tre, 13 contro i viola. Nella scorsa stagione invece, dal ritorno di Spalletti, tra Real Madrid, Napoli, Fiorentina e Milan, ne possiamo aggiungere 74. Totale: 87 (recuperi esclusi). Ma il bello sta per arrivare, visto che sabato la Roma giocherà contro il Napoli e, prima di Natale, i giallorossi saranno attesi dalle sfide contro Lazio, Milan e Juventus. Quanto basta perché l’appetito venga mangiando, provando magari a ritagliarsi spazi importanti anche in partite più significative rispetto a quelle masticate finora. Certo, immaginare che Totti possa essere titolare in confronti del genere al momento sembra essere velleitario, ma se il ruolo che gli è stato saggiamente cucito addosso da Spalletti , quello di «risolvi-problemi», pare essere perfetto per gestirne il tramonto, di sicuro al capitano piacerebbe avere qualche minuto in più, e non solo quando le partite sembrano nate male (dalla Sampdoria al Torino). Intendiamoci, immaginiamo che trovare l’equilibrio sia complicato, così come pare chiaro come il numero dieci giallorosso non sia solo un rigorista (2 su 2 segnati in questo campionato). Ma se il calcio è anche voglia, come sorprendersi che, col Napoli alle porte, Totti scaldi già i motori?
(Gazzetta dello Sport – M. Cecchini)
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