Herbert Prohaska ha il tono afflitto di chi ha appena sbagliato un calcio di rigore. «Sono a New York, si rende conto? – spiega l’ex stella di Inter e Roma, con cui nel 1983 ha vinto lo scudetto –. Da mesi avevo prenotato questo viaggio perché è il compleanno di mia moglie Elisabeth, e che succede? Il sorteggio ha messo Roma-Austria Vienna proprio quando sono fuori. E sì che avevo promesso a tutta la famiglia di portarla in Italia…».
Si consoli, c’è sempre il ritorno. Ma lei per chi farà il tifo?
«Be’, la Roma mi perdonerà. In giallorosso ho vissuto il momento più bello della mia carriera, ma 14 anni col Vienna, senza contare le stagioni in cui l’ho allenato, non si dimenticano. Diciamo che spero passino il turno tutte e due».
Dal punto di vista tecnico, come vede il doppio match?
«La squadra di Spalletti è nettamente più forte. Il suo collega Fink non ha Dzeko o Salah. Il posto dei giallorossi doveva essere la Champions, ma col Porto sono stati anche po’ sfortunati. Detto questo, credo che l’obiettivo degli austriaci è quella di fare almeno un punto nelle due partite. Occhio però, perché finora in trasferta hanno sempre vinto e davanti hanno una coppia di attaccanti veloci come il nigeriano Kayode e il brasiliano Venturo che possono dare fastidio. Credo però che l’obiettivo vero della Roma sia il campionato e così immagino che giovedì facciano riposare alcuni titolari».
A proposito, come vede la Serie A? Si sta tornando alle sfide Roma-Juve stile Anni Ottanta?
«Per me la Roma è la seconda forza del campionato. Certo, 5 punti di distanza non sono pochi, ma se i bianconeri sbagliano tutto può cambiare».
Ha notato, a 40 anni, il miracolo sportivo di Totti?
«È fantastico, il più forte giocatore della storia della Roma, ma credo che a questo punto debba essere un po’ difficile da allenare, perché immagino che lui voglia giocare sempre e la gente vorrebbe vederlo sempre in campo. Un bel problema per Spalletti, che comunque considero un grande tecnico, perché gestire certe situazioni a Roma non è facile. Non lo era neppure ai miei tempi».
Adesso è cambiato tutto: tanti stranieri in Italia sia in campo che in società.
«Una volta di straniero c’ero solo io fra venti italiani, ora magari c’è un solo italiano in mezzo a tutti stranieri. Che dirle? Ciò che conta non è avere presidenti residenti all’estero, ma averli che capiscano di calcio».
Alla Roma la proprietà Usa in 5 anni ha cambiato tutti i vertici.
«Loro fanno business e si comportano così: se non fai risultati, vai via. Secondo me non è giusto, ma sono dei professionisti e bisogna accettarlo».
L’Inter sta messa anche peggio: ha visto il caso Icardi?
«È incredibile che un club come l’Inter sia in questa situazione. Una società del genere dovrebbe lottare sempre lo scudetto e vivere serena».
Ricorda un’altra Inter, vero?
«Le dico solo che quando nel 1980 mi contattarono, l’offerta migliore era quella del Bologna, ma mi pressava anche il Milan. Non solo. Il mio amico Krankl mi telefonava per farmi andare al Barcellona, ma io scelsi l’Inter, anche se dopo due anni mi cedettero per Hansi Muller, che però arrivò già rotto. A Roma però sono stato felice, tant’è vero che quando presero Cerezo al mio posto per me fu una tragedia. Pensavo già di chiudere la carriera in giallorosso e cominciare ad allenare dalle giovanili. Viola poi mi disse che era stato il suo più grane errore. A quel punto fui vicino ad andare al Torino, dove giocava il mio amico Schachner, ma ero così deluso che preferii tornare a Vienna».
Tutto sommato le è andata benissimo lo stesso, visto che ora è anche un commentatore di tv di grande successo e persino cantante in un gruppo chiamato «The real holy boys».
«È vero. Certo, sono solo un dilettante, ma abbiamo anche inciso un cd con canzoni in tedesco, inglese e anche italiano. Lo sa che cantiamo anche “Gianna” di Rino Gaetano? La vostra musica mi è sempre piaciuta parecchio».
Dicono che abbia un debole per Adriano Celentano.
«Le racconto un aneddoto. Quando giocavo nell’Inter, una sera a Milano ero andato in una trattoria insieme a mia moglie quando vediamo che in uno dei tavoli vicino al nostro c’era proprio Celentano. Volevo alzarmi per andare a salutarlo e farmi fare un autografo, ma Elisabeth mi gelò: “Che fai? Non puoi andare a disturbarlo, sta mangiando, non è educato fare così”. Io a malincuore mi convinsi e continuai la cena come se niente fosse quando all’improvviso alzai lo sguardo e vidi che Celentano era venuto al mio tavolo e mi disse: «Scusi Prohaska, sono un tifoso dell’Inter, mi farebbe un autografo per favore?”. Fantastico, no?» Lo ammettiamo: fantastico. Come quegli Anni Ottanta che, a pensarci bene, fanno davvero tanta nostalgia.
(Gazzetta dello Sport – M. Cecchini)
FOTO: Credits by Shutterstock.com
© RIPRODUZIONE RISERVATA