(La Repubblica – E. Levini) L’importante, diceva Pierre De Coubertin, è partecipare. Niente di più vero: l’esclusione dell’Italia dai Mondiali di Russia ha un costo altissimo non solo per il calcio, ma pure (potenzialmente) per il Pil e la Borsa tricolore. Figc e Pallone Spahanno visto andare in fumo nella partita con la Svezia qualcosa come 150 milioni, 1,6 milioni per ogni minuto giocato al Meazza: circa 90 milioni di diritti tv, un bel po’ di mancati premi partita e qualche decina di milioni tra royalties per le magliette e sponsor in fuga. Il conto per l’Italia, guardando al passato, rischia di essere ancora più salato.

La vittoria degli Azzurri in Germania nel 2006 ha regalato al pil – secondo i calcoli di Coldiretti – un +1%. Qualcosa come 16 miliardi, mica noccioline. Gli Europei 2016, per dare un’idea, hanno fatto decollare del 4% le vendite dei televisori, crollati del 10% sia l’anno precedente e quello successivo. Un semplice buon piazzamento – come certifica Goldman Sachs – sarebbe stato sufficiente per risparmiare al paese una finanziaria: l’approdo della nazionale ai quarti, dice uno studio della banca d’affari Usa, tende storicamente a ridurre lo spread tra Btp e Bund tagliando il prezzo degli interessi sul debito (65 miliardi nel 2016). Un successo finale avrebbe regalato a Piazza Affari un 3% in più di rialzo rispetto alle medie europee.

Più che i mancati guadagni potenziali, a bruciare in queste ore sono le perdite certe. La più consistente è la sforbiciata al valore dei diritti tv per Russia 2018. Quattro anni fa la Fifa li aveva venduti a Sky e Rai per 180 milioni circa. Quest’anno le stime (l’asta è in corso) prevedevano un prezzo di 175 milioni, «destinati a ridursi a 85 – assicurano fonti di settore – ora che gli azzurri sono rimasti a casa». Comprensibile, visto che 32 dei 60 programmi più visti di sempre sono partite dei Mondiali (49 su 50 se si considerano anche gli Europei). Capitolo premi: staccare il biglietto per Mosca significava per la Figc mettersi in tasca 1,2 milioni di dollari come bonus partecipazione. Cifra destinata a salire a 8 milioni con la qualificazione al girone, 16 per i quarti e 38 per la vittoria. Un gruzzoletto che avrebbe dato respiro a una federazione che ora rischia altri tagli dal Coni. Il colpo d’immagine e portafoglio per la Nazionale è doppio.

L’anno di Mondiali ed Europei è quello in cui si vendono più magliette: le royalties sulle divise sono cresciute dai 799mila euro del 2013 ai 2,7 milioni di Brasile 2014 (malgrado la figuraccia rimediata). Non solo: la mazzata più pesante è la possibile fuga degli sponsor. La Puma da sola garantisce 18,7 milioni l’anno agli azzurri, cifra che non solo è arrotondata da bonus risultati – difficili da immaginare dopo la partita di ieri – ma che ora, senza vetrine internazionali, potrebbe essere rivista al ribasso. Difficile che alla porta della Figc ci sia ora la fila per nuovi “inserzionisti” come è capitato invece alla vigilia del Mondiale 2014 quando il marketing ha garantito incassi suppletivi vicini ai 7 milioni.

L’impatto immediato e certo sui conti pubblici dell’Italia è invece (per fortuna) più limitato e legato a filo doppio al mondo delle scommesse: le puntate sul calcio generano ogni anno circa 140 milioni di incasso per il Fisco. La parte del leone la fa come ovvio il campionato, ma Europei e Mondiali hanno visto crescere geometricamente negli ultimi anni il giro d’affari legato alla Dea bendata. Le giocate sulle partite degli azzurri in occasione dell’edizione brasiliana del 2014 sono state 19 milioni, quelle degli Europei 2016 43, di cui 14 solo per la sfida con la Germania. E l’Agenzia delle entrate, solo per la manifestazione continentale, si era messa in tasca un milione di euro.



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