Alessandro Florenzi

(Gazzetta dello Sport – D. Stoppini) Andrea Conti, a pensarci bene, è stato pure fortunato: il ginocchio sinistro, operato a settembre per la ricostruzione del legamento crociato anteriore, ha subito «solo» una distorsione. Ad altri è andata peggio, vagando per i database degli ultimi mesi troviamo Perin, Florenzi, Milik, Ghoulam, il giovane terzino della Roma Luca Pellegrini. È diventato un ritornello: lesione del crociato anteriore e, qualche tempo dopo, la ricaduta, quello che in termini scientifici viene chiamato il re-injury. Occhio: nell’elenco vanno evidentemente inseriti anche quei calciatori il cui secondo infortunio è di natura differente dal primo, ma che insiste sempre nello stesso arto, leggi la rotula di Ghoulam e Pellegrini. La serie infinita ha spinto molti addetti ai lavori a chiedere analisi approfondite sul tema. Per dirne una: Eusebio Di Francesco, tecnico della Roma, tempo fa disse: «Non credo alla casualità, stiamo lavorando per trovare delle soluzioni. Credo sia necessario approfondire il tema della prevenzione».

I CASI – Il punto di partenza, sul quale la comunità scientifica è d’accordo, è che il dito non va puntato sulla chirurgia di settore, che ha fatto passi in avanti da gigante negli ultimi anni. Salvo rarissimi casi – leggi il romanista Strootman – non è intorno all’operazione che vanno riscontrati i problemi. Il focus è necessario su quello che avviene successivamente, intorno all’atleta. Il processo di recupero è troppo spesso frammentato e solo nella primissima fase è direttamente seguita dall’ortopedico che ha eseguito l’intervento. Generalmente dopo il primo mese il calciatore passa tra le mani delle società e nelle fasi di recupero manca, troppo spesso, la comunicazione tra i vari protagonisti della vicenda, ad esempio tra i preparatori atletici, lo staff medico e quello tecnico. Moltissimi studi scientifici internazionali evidenziano come il processo riabilitativo sia troppo spesso accelerato. Il caso di Florenzi è emblematico: nel febbraio 2017 si fece nuovamente male mentre si allenava a Trigoria tre mesi e mezzo dopo la prima rottura del crociato anteriore. Di Milik, tornato in panchina neppure 4 mesi dopo la prima rottura del crociato, è giusto riportare anche le dichiarazioni prima del secondo rientro, molto più cauto: «Il medico sociale del Napoli (De Nicola, ndr) mi diceva che ero pronto, ma io la pensavo diversamente. Volevo aspettare più a lungo, non mi sentivo bene, così gli ho detto che volevo rafforzarmi ancora di più prima di tornare. Se qualcuno non capisce questo, non è un mio problema».

GLI STUDI – È un problema, invece, ignorare studi che dettano una tempistica più ampia per il recupero da un crociato. Stefano Zaffagini è uno dei 4 chirurghi italiani ammessi alla più importante società scientifica sulla chirurgia del legamento crociato anteriore, chiamata «ACL Study Group». In una sua pubblicazione del 2015 ha messo nero su bianco il pensiero di 211 colleghi: «Riabilitazione di 4 mesi, ritorno all’allenamento tra i 4 e i 6 mesi, ritorno all’attività agonistica tra i 6 e gli 8 mesi». Anche perché, a leggere gli studi dell’australiano Bu Balalla, «il legamento ricostruito dopo 3 mesi ha la stessa resistenza del vecchio», ma questo non giustifica un rientro in campo se è vero che, secondo la stessa pubblicazione del 2016, c’è una fase di down intorno al 4°-5° mese, per tornare ai livelli resistenza del vecchio legamento non prima dei 6 mesi: «Dopo 6 mesi l’atleta può tornare a lavorare con i compagni, ma solo per gli sport di non contatto. Il totale ritorno si ha tra i 9 e i 12 mesi». Rispettare i tempi, in pratica, abbassa il livello di rischio di ricadute e di complicanze, leggi lesioni muscolari. In questa direzione alcuni studi sottolineano come «a 12 mesi dall’intervento sussistano deficit di forza del quadricipite e del controllo neuromuscolare, dunque nell’espressione della gestualità tecnica» (studio Jospt del 2013). Zaffagnini predica calma: «Su 21 giocatori professionisti al rientro dopo 6 mesi, il 95% è tornato ai livelli di performance pre rottura del crociato». Affrettando il ritorno, magari andando alla ricerca di fantomatici record o perché stritolati dalle necessità tecniche della squadra, il rischio di fare peggio è elevatissimo. Lo sostiene chiaro e tondo un’altra pubblicazione dell’American Journal of Sports Medicine: su 136 pazienti operati per due volte al crociato anteriore, solo il 46% è tornato ai parametri fisici sportivi del pre infortunio. La fretta, in definitiva, è sempre una cattiva compagna di viaggio.



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