AS ROMA NEWS MOURINHO – Ci ha provato anche ieri: «Per me la prima finale è quella contro il Torino. È però difficile farlo capire a Roma. C’è un’euforia generale che si sente e non aiuta a direzionare il focus in una partita. Io non ho problemi, mi è accaduto al Porto e all’Inter di dover vincere lo scudetto all’ultima giornata prima di disputare la finale di Champions. Qui invece è diverso. È una cosa che si sente al ristorante, al supermercato, ovunque. La gente non ti dice andiamo a Torino, esiste solo Tirana».
Non è una resa, quella di Mourinho, ma poco ci manca, scrive Il Messaggero. Anche per un vincente come lui, riuscire a focalizzarsi sul match di domani, fondamentale per raggiungere la qualificazione in Europa League già in campionato, è un’impresa ardua. José l’attribuisce al fattore esterno, al fatto che c’è «una città piena di gioia per giocare una finale con il 50% di possibilità di vincere un trofeo» ma non dimentica che il traguardo poteva esser stato già tagliato: «Mi dà frustrazione a pensare che meritavamo di essere quinti con tanti punti di vantaggio e non lo siamo. Perché? Per arbitri e Var contro di noi, per arbitri e Var a favore dei nostri avversari, per alcuni miei errori, per sfortuna, sono tanti i fattori».
Non arretra di un centimetro. Anche se il contesto è diverso, la platea ospita nel media day voluto dalla Uefa a Trigoria un paio di giornalisti olandesi e albanesi, il tarlo arbitrale non lo abbandona. Avverte che il rischio è dietro l’angolo: «Abbiamo due finali da giocare e ipoteticamente si possono perdere tutte e due e finire fuori dalle coppe. Lo so, non è una situazione facile da gestire». Anche perché l’infermeria è tornata di colpo piena: «Mkhitaryan ha zero possibilità per Torino e poche per mercoledì. Zaniolo poche per Torino, di più per Tirana. Smalling è infortunato, non gioca domani ed è in dubbio per la finale. Karsdorp è quello che può recuperare più facilmente».
Al netto di un pizzico di pretattica, si addolcisce quando gli chiedono di Tirana («Giocare in Albania è un piacere doppio anche se lo stadio è piccolo ma non sarebbe bastato nemmeno il Bernabeu»), l’ottava finale a livello europeo della sua carriera: «Questa però sarà la più importante…». Pausa teatrale per poi terminare il concetto: «Perché devo ancora giocarla e magari vincerla. Voglio certamente il trofeo per me stesso, ma lo vorrei più per la gente che non vive un momento così da tempo. Da quando sono qui, sono diventato meno egocentrico. Sto bene a Roma e si vede. Io come Ferguson allo United? No, vuol dire che dovrei restare sino a 79 anni. Meglio pensare a questo triennio, poi vedremo».
Presente e futuro continuano a intrecciarsi. Così quando gli viene chiesto cosa manca per competere con le altre big, preferisce non rispondere. Lo farà a fine conferenza, avvicinandosi alla giornalista che gli aveva posto il quesito, sussurrandole all’orecchio la parola «soldi». E aggiungendo: «Hai capito perché non potevo risponderti?».
Tuttavia il fatto di aver sposato un progetto diverso, non lo spaventa. L’importante è essere chiari: «Guardate Ancelotti – spiega – Carlo aveva un problema. Perché se alleni l’Everton non puoi vincere la Champions. Per me è stato lo stesso. La gente pensava che alcune mie avventure fossero mirate ai successi immediati ma non lo erano. Il confronto con i tecnici più giovani? Il discorso è uguale a quello che faccio per i giocatori. Ci sono elementi bravissimi a 20 anni e a 40. Il gol che ha fatto domenica Quagliarella a 40 anni, mi piacerebbe che lo facessero i miei giovani di 20. Con lui in campo probabilmente avremmo segnato contro il Venezia… Nella vita non c’è età, ma qualità e passione. Se mancano, sei finito». Non è certo il suo caso.
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