C’è chi lo esalta sempre e comunque, scoprendo vittorie anche quando non ci sono e c’è chi lo prende in giro per qualsiasi cosa, per come parla, per i concetti ripetuti, sempre gli stessi, fino alla noia. Chi lo amato in passato e chi ha sognato con lui, oggi lo detesta, accollandogli responsabilità di quei sogni infranti, considerandolo un nemico della Roma (ma tanto di nemici oggi se ne vedono pure se non ci sono…); c’è pure chi non lo ha mai considerato e oggi, che è diventato innocuo, finisce con l’apprezzarlo un po’ di più. Zdenek Zeman è questo: paradossale, lo si usa come incudine e martello. Ma chi ha ragione, dov’è la verità? Zeman è un sentimento doppio: amore e rancore. Un maestro di calcio, un maestro di vita e un ciarlatano, un fastidioso grillo parlante. L’equilibrio è difficile trovarlo. A Roma è stato in due fasi, come Spalletti. Era modesta la sua prima squadra (1997/1999), un pochino – sulla carta – più ambiziosa la seconda (2012). Ma dalla seconda è stato cacciato durante il campionato (dopo aver raggiunto la finale di Coppa Italia, unico allenatore americano a tagliare un traguardo simile), dalla prima è stato mandato via dall’arrivo di Capello: questi più amico del Palazzo e Zdenek sicuramente non lo era (cit. Sensi). E per questo – sostiene ancora oggi il boemo – non ha vinto lo scudetto. Paradosso: quella Roma non poteva vincere al di là dei torti, evidenti, subiti. Di vittorie concrete, insomma, nemmeno l’ombra, al di là del suo splendido Foggia, che ha sfornato entusiasmo e sogni, oltre che giocatori di altissimo livello, e del penultimo Pescara di Insigne, Immobile e Verratti, tre big del calcio italiano e internazionale.
IL CAPITANO Totti lo ha più gestito che creato, perché il capitano era forte di suo, ma a Zeman deve tanto. L’ha saputo far crescere come si deve e lo ha reso longevo, e si vede anche oggi al di là dell’età e degli acciacchi, che tra l’altro non gli consentiranno (non è stato convocato) di incontrare il suo amico Zdenek a Pescara. Le vittorie di Zeman sono da considerare quelle legate alla valorizzazione dei calciatori, al di là delle sue battaglie dialettiche che effettivamente sono ormai ripetitive (mister, le abbiamo capite). E la Roma ne sa qualcosa: vedi Lamela, Marquinhos e Osvaldo, rivenduti a prezzo d’oro, con tanto di meriti ascritti a Sabatini. Ma le plusvalenze, dice bene Ventura, le fanno gli allenatori e in questo Zdenek è un maestro, temine usato ultimamente per prenderlo in giro. Ma pure lui su qualche calciatore ha toppato, vedi Tachtsidis-De Rossi, vedi Goicoechea e tanti altri. Abbagli totale, specie quello su Daniele, che ha cercato di spiegare anche alla vigilia di Pescara-Roma. «Non riusciva a fare ciò che gli chiedevo. Nessuna polemica». Ma per qualcuno, anche questa lo è. E quindi, giù rancore, insulti etc etc. Invece è una valutazione tecnica sbagliata, nulla di più. Poi veniamo alla dirigenza giallorossa definita da Zeman «il problema principale, la sua cattiva gestione». Rancore anche questo? Può darsi, magari avrà i suoi motivi, ma pure qui siamo al giudizio, magari sbagliato, ma un giudizio. E invece Zeman passa per essere il nemico: è tutta colpa sua, anche se piove. Era un sogno qualche tempo fa, lo è stato pure nel 2012, quando questa società gli aveva affidato la Roma. Poi? Paradossi. «Non ho rivincite da togliermi perché a Roma sono stato bene. Io non ho avuto problemi con la società». Magari bluffa ed è solo rancore represso. Vince sempre, anche se perde. Ed è comunque un merito.
(Il Messaggero – A. Angeloni)
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