Zdenek Zeman

AS ROMA NEWS ZEMAN DERBY – Zdenek Zeman, ex allenatore di Roma e Lazio, ora al Foggia, ha rilasciato un’intervista al Corriere dello Sport parlando del derby ma anche di calcio. Queste le sue dichiarazioni:

Maestro, la filastrocca del derby che vale solo tre punti è la sua lettera scarlatta. Si è stancato della manfrina? 
«Ma no, è sempre vero. Il derby di Roma è speciale per i tifosi, non per chi lo gioca. Quando ne ho persi quattro in una stagione, la mia Roma è arrivata davanti alla Lazio. Quindi la verità matematica è che conta come tutte le altre partite». 

Domani chi lo vince? 
«La Lazio è favorita. Ma nel derby spesso le gerarchie non vengono rispettate e la squadra più forte o più in forma non vince». 

Le piace più Sarri di Mourinho? 
«Non è un discorso di preferenze. Sarri sta facendo meglio, ha già dato un’identità di gioco alla Lazio. Mourinho ha deluso finora le aspettative. Non sul piano dialettico, ma nella qualità del calcio che esprime. La Roma ancora non si capisce cosa voglia fare, in campo, mentre la Lazio è più quadrata». 

Come spiega le difficoltà di Mourinho? 
«Le difficoltà sono di tutti quando le squadre non funzionano. Ma bisogna mettersi d’accordo su quello che dobbiamo aspettarci dalla Roma. Se chiedevano lo scudetto a Mourinho con questi giocatori, allora hanno sbagliato. Gli scudetti si vincono con i giocatori più bravi, gli allenatori vincono quando hanno la squadra migliore». 

Il lato positivo è che Mourinho abbia lanciato tanti giovani nella Roma. 
«Sì, negli ultimi dieci minuti… E poi di nuovo in panchina. Se un ragazzo gioca una volta e poi torna nelle retrovie non cresce mai». 

Questo è un derby da Europa League. Non meriterebbero di meglio le due tifoserie? 
«Mah, c’è chi sta peggio. Pensi a città come Palermo, Bari o Catania che fanno la Serie C». 

Il derby di Zeman qual è? 
«Il 3-3 in rimonta con il gol di Totti, in dieci contro undici. In realtà sarebbe stato 4-3, ma annullarono il gol di Delvecchio che era buono». 

Lei è identificato come romanista, pur avendo allenato prima la Lazio. Perché? 
«Non lo so, è una percezione della gente. Io dico soltanto che la tifoseria della Roma mi piace di più, per calore e per partecipazione allo stadio». 

Alla Roma è passato due volte. E in entrambi i casi se ne è andato senza aver completato il percorso che aveva in mente. 
«Due delusioni diverse. Nel primo periodo sono stato penalizzato dal sistema, diciamo così. Nel campionato 1998/99 (dopo le sue denunce sul doping, ndr) ci tolsero almeno 20 punti in classifica. Ridateceli e facciamo i conti su dove siamo arrivati. Quando sono tornato, mi hanno mandato via prima che potessi giocare la finale di Coppa Italia. L’avrei meritata». 

Nel 2013, quando arrivò l’esonero dopo la brutta sconfitta contro il Cagliari, si parlò di una fronda della squadra contro di lei, con Totti unico alleato. 
«Non so, io ricordo che pagai una frase: dissi che a Trigoria non venivano rispettate le regole». 

Diciamola tutta: pagò anche l’idiosincrasia con De Rossi, che era un leader dello spogliatoio. 
«A questo io non credo. Daniele con me giocava spesso. Magari non giocava bene visto che nelle vostre pagelle prendeva spesso 4,5… Ma credo che in quel momento avesse qualche problema: fuori dal campo, perché sul lavoro era sempre disponibile e io lo ero con lui». 

Non lo vedeva come un regista, altro concetto che fece rumore. 
«Perché non lo era, almeno nel senso in cui intendo io il ruolo. De Rossi era un incontrista, un combattente. Infatti nella sua Roma migliore il playmaker era Pizarro». 

I registi sono una categoria in via d’estinzione. 
«La Lazio ad esempio ce l’ha. E pure bravo: Lucas Leiva. Anche se il migliore di tutti è Verratti». 

Verratti nel suo Pescara giocava in regia, in Nazionale invece no. 
«Per me è un errore». 

La Nazionale di Mancini va al Mondiale? 
«Speriamo, altrimenti sarà un nuovo dramma. Purtroppo tanti calciatori non sono al top, mi auguro che si ritrovino». 

Perché Immobile, altro asso del Pescara di Zeman, non riesce in azzurro a rendere come nella Lazio? 
«Per me è solo una questione tattica. Nella Lazio ha più terreno da scoprire, nell’Italia invece trova pochi spazi da punta centrale. Ma resta il centravanti migliore, lo dicono i numeri». 

Il suo terzo pupillo, Lorenzo Insigne, lascerà il nostro campionato per giocare a Toronto.  
«Mi dispiace per Lorenzo. So quanto tenga a Napoli e al Napoli. Purtroppo ormai nel calcio contano solo i soldi. Ma penso che Insigne sul piano sportivo si pentirà di questa scelta». 

E’ il calcio dei procuratori, del resto: abituiamoci. 
«Sì, sono più importanti dei presidenti ormai. Sarebbe meglio che le società si dessero tutte una calmata. E ’ fondamentale rinunciare a qualcosa per recuperare l’equilibrio economico, che era stato perso anche prima del Covid». 

I magistrati sono al lavoro, in particolare sulle plusvalenze fittizie. 
«I magistrati lavorano sempre ma non concludono mai niente…». 

Il risultato è la crisi del calcio italiano, almeno a livello di club. 
«Non mi sorprende. Manca la base. In Serie A ci sono squadre che giocano con undici stranieri. E spesso, tornando ai procuratori, i giocatori vanno in un club non perché servano all’allenatore ma per compiacere il manager di turno. E’ il business, vabbè». 

La Champions League dimostra che la tendenza del momento sia difendere bene, per vincere. 
«E’ vero ed è un peccato, perché ne risente lo spettacolo. Vedo solo un’eccezione: il Bayern Monaco. Loro attaccano sempre e provano a farlo nel modo più rapido possibile. Anche meglio del Liverpool, che si basa più sulla qualità dei singoli». 

A proposito di tendenze, molti allenatori giocano con la difesa a tre. 
«A cinque, prego. Tre difensori e due terzini. E’ per difendersi meglio, ma io non lo capisco». 

Resta il 4-3-3, a proposito di frasi celebri, «il modo più efficace di coprire il campo»? 
«La geometria non è cambiata, nel tempo». 



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