Una figuraccia, l’ennesima, in campo Europeo. La Roma si fa male da sola e la convincente vittoria contro l’Udinese per 4-0, ma soprattutto l’1-1 ad Oporto (in 10 uomini), vengono cancellati con un colpo di spugna da un harakiri davvero preoccupante. Tutto il mondo romanista si è giustamente esaltato per gli ultimi colpo di mercato come Bruno Peres e Vermaelen, seguiti da tempo dalla Roma, ma che hanno collezionato appena due presenze e tra l’altro in una difesa che non era mai stata provata in campo in partite ufficiali, se non nelle partitelle a Trigoria. L’immobilità sul mercato da parte di Sabatini prima dell’arrivo di Vermaelen aveva creato una situazione di nervosismo nell’ambiente giallorosso, e tutta la squadra ne ha pagato le conseguenze. In più mettiamoci degli errori evidenti di Spalletti (in particolar modo nella gara di ritorno con il Porto), e il dramma sportivo è servito. Ma la crisi della Roma è più profonda. E dura da sei anni.
PROPRIETA’ E DIRIGENZA INADEGUATA – Giocare in Champions, e soprattutto qualificarsi in Champions durante il campionato, è l’obiettivo principale della società americana. Perchè, al netto delle smentite di rito e delle dichiarazioni ripetute a pappagallo dai dirigenti, i soldi che sarebbero entrati dall’approdo in Champions League attraverso i preliminari, avrebbero garantito un mercato nella parte finale probabilmente più scoppiettante per cercare di migliorare la squadra ed ottenere il secondo posto. Le dichiarazioni trionfalistiche di inizio stagione come quelle di Pallotta (“Entro breve tempo saremo al livello dei più grandi club europei”), così come quelle di Baldissoni (“La Roma deve sempre giocare in Champions”), vengono smentite dai fatti. Il presidente Pallotta, che non si è degnato nemmeno di assistere dal vivo alla partita più importante di questo inizio stagione, sembra fuori dal mondo e dopo le espulsioni (sacrosante) a De Rossi e Emerson, inveisce contro l’arbitro. Sembra quasi che il calcio non sia proprio materia di Pallotta. Inotre il dg Baldissoni non ha l’esperienza necessaria per guidare, di fatto, un club. Motivo? Semplice: prima di prendere questa importantissima carica nel club era un avvocato e, per quanto possa esse competente in materia calcistica, non è un uomo di calcio alla Bruno Conti, ad esempio, o alla Marotta, che nel calcio ci è sempre stato e vissuto.
SPALLETTI – E’ stato l’artefice (insieme a Totti, ricordiamocelo) della conquista del terzo posto nella scorsa stagione. Ciononostante appare sempre nervoso in conferenza stampa, sempre pronto a puntare il dito contro questo o quel giornalista (a volte giustamente, a volte sparando nel mucchio senza criterio), sempre pronto a creare polemiche anche quando non è necessario. E’ sicuramente un buon allenatore, ma alcuni aspetti del suo carattere, probabilmente, creano un limite alla Roma che un buon gruppo ce l’ha e che avrebbe potuto passare il turno di Champions con un po’ più di intelligenza. Infine, con una Roma in 9 uomini, avrebbe potuto anche far entrare Totti invece di inserire un Iturbe, ai margini del progetto, al posto di uno Dzeko versione 1.0. Così come la scelta di De Rossi centrale, e non di Fazio che di mestiere fa proprio il difensore, al contrario di DDR, è un errore abbastanza marchiano. La stagione è ancora lunga, siamo appena agli inizi, e la situazione può essere risollevata. In un campionato strano, con la Juventus sopra tutte e Inter, Napoli e Fiorentina che stentano, sarebbe un delitto non provarci. Ma stavolta seriamente, e non arrivando a 17 punti dalla prima in classifica.
Marco Violi
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